domenica 7 settembre 2014

Proposte di modifica alla bozza del ddl “Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana"




Premesso che si condividono le osservazioni mosse dall’Istituto Nazionale di Urbanistica alla bozza di disegno di legge promossa dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, si vuole contribuire alla discussione con questo piccolo testo. Qui di seguito si illustrano due brevi gruppi di note: il primo contiene proposte di ordine generale, sistemico, il secondo integrazioni alla prevista norma regionale di disciplina degli ambiti territoriali unitari.

Note al sistema di governo del territorio tratteggiato dal D.L. in parola:

1-Un nuovo ruolo per l’ente locale: la legge dovrà esplicitare che l’ente locale, tramite uffici preposti e qualificati (il così detto ufficio di piano), spetta il dovere di dare seguito agli obiettivi di valenza strategica contenuti nei piani regolatori che ha approvato, operando in modo propositivo e come vera e propria agenzia di sviluppo urbano. L’attuale crisi economica e l’alto livello di competizione territoriale impongo ai governi locali atteggiamenti proattivi e capacità nell’intercettare investimenti privati e valorizzare ogni risorsa. La proposta illustrata è assimilabile alle esperienze americane ed inglesi dove gli enti locali sono dotati di commissioni / agenzie (planning commissions) preposte allo sviluppo del territorio ed alla gestione e promozione di interventi e progetti di rilevanza urbana. Strutture pubbliche, nominate dal decisore politico, con competenza tecnica e non sono burocratica, le quali esprimono proposte e pareri di merito e non di semplice “conformità”.



2-Piani attuativi a perimetri negoziabili: Assunta la necessità di scorporare la pianificazione su due livelli: strutturale e operativo, rimandando il primo alla scala sovra locale, ed il secondo a quella comunale, si propone di innovare il comma 3 dell’art 16 specificando che ai Comuni spetta sì il compito di individuare le aree assoggettabili allo strumento dei piani di rinnovo urbano, ma che il perimetro degli strumenti attuativi sarà determinato in funzione di accordi, anche di natura negoziale, assunti con i soggetti promotori. Questa soluzione permetterà una più facile attuabilità delle proposte di recupero. La parcellizzazione della proprietà fondiaria in ambito urbano, specialmente in contesti residenziali, è infatti un fortissimo limite al recupero dei tessuti degradati, per tale ragione deve essere considerata sin dalle fasi iniziali della definizione del piano attuativo.



3-Semplificare realmente: introdurre regolamenti (definizioni urbanistiche, distanze, norme igienico-sanitarie e di sostenibilità energetica) standardizzati e omogenei per grandi comparti omogenei, approvati per ambiti regionali o provinciali, se non statali: ridurre il numero eccessivo di norme complesse e di fonti di legiferazione è la via più efficace verso la semplificazione dei processi decisionali nel governo del territorio.



La previsione di una legge regionale che disciplini le caratteristiche puntuali dei singoli ambiti è un punto qualificante della proposta in esame ed ha tre rilevantissimi vantaggi. Il primo: maggior trasparenza dei documenti tecnici comunali a favore degli investitori privati, con ovvie ricadute in termini di certezza dell’investimento e dei tempi di realizzazione (le nostre norme devono essere aperte e comprensibili anche da investitori stranieri, ne vade la competitività dell’industria edilizia e non solo). Il secondo: maggior controllo a livello regionale nella promozione di politiche edilizie specifiche senza la necessità di individuare ex-lege procedure derogative alle norme urbanistiche definite a livello comunale. Ed il terzo: se la norma verrà introdotta non ridimensionata sarà vera semplificazione.

Nel dettaglio si propone inserire nei contenuti delle leggi regionali indicati nel comma 5 quanto segue:

1-La norma dovrà essere recepita a livello comunale senza modifiche, se non per i valori plano-volumetrici (esempio riguardo alle altezze ammissibili, indici di fabbricabilità) oltre che per eventuali regole d’ornato.



2-Per essere adatta allo scopo di cui al punto precedente, dovrà essere la più completa possibile, prevedendo, ad esempio, la disciplina dei cambi d’uso.



3-Sempre col fine di semplificare le norme della produzione edilizia, si propone di ridurre al minimo i parametri di controllo plano-volumetrico dell’edificato. Ma quali indicatori usare, però? Una prima soluzione sarebbe sostituire gli indici di fabbricabilità basati su un rapporto geometrico tra superficie fondiaria e superficie fabbricabile con il numero di unità immobiliari realizzabili per lotto minimo. Le altezze massime ammissibili per ambito, la superficie drenate, le distanze da confini, strada e pareti finestrate, oltre che la necessità di reperire gli standard o i parcheggi privati, limiterebbero la superficie realizzabile senza l’imposizione di un controllo al metro quadro del contenitore edilizio (controllo per altro inutile ai fini dell’attuazione degli obiettivi di piano). Le norme regionali indicheranno il massimo numero di unità o le tipologie edilizie ammissibili per gli ambiti territoriali unitari (es.: villa unifamiliare, trifamiliare o edificio multi-immobiliare/corte per gli ambiti residenziali).  Qualora per alcune destinazioni il numero di unità immobiliari non fosse un indicatore adeguato, nella disciplina d’ambito sarà sufficiente indicare il rapporto di permeabilità ed in numero di piani/altezza massima, associandovi la tipologia edilizia ammessa: superficie a parcheggio e distanze completeranno il disegno ammissibile lasciano ampie libertà nella definizione dell’immobile. A riguardo si invita a valutare le Zoning ordinance vigenti negli Stati uniti d’America. Questa scelta, oltre che governare con maggior efficacia il carico urbanistico, fornirebbe disponibilità micro-volumetriche a singoli proprietari a pari carico urbanistico, liberando ampie risorse per l’industria edilizia: non si ha la misura di quanti interventi di edilizia “minuta” vengano bloccati per esaurimento della volumetria.

Auspico, infine, che quanto letto circa le intenzioni di approvare in un secondo provvedimento il Regolamento Edilizio Unico stralciato dalla stesura finale dello Sbolcca-Italia avranno seguito, essendo questo uno strumento importante solo nella misura in cui riuscirà a raccogliere ed uniformare la disciplina edilizia in un solo codice valido su tutto il territorio nazionale. Il termine codice non lo si usa a caso, esso dovrà infatti contenere in modo cogente le principali definizioni, le procedure per il rilascio dei titoli abilitativi, i requisiti di sostenibilità energetica e le principali regole igienico sanitarie. I comuni provvederanno ad integrare il codice con eventuali parti di propria competenza (ad esempio: regole d’ornato, funzionamento commissioni, ecc.). Il codice tecnico dell’edilizia dovrà essere emanazione diretta del T.U. dell’Edilizia se non suo totale sostituto.

A riguardo colgo l’occasione per inviate a riordinare il vigente testo unico verso forme di controllo edilizio meno complesse ed onerose anche per il privato. Non è difficile intuire che più carta si produce, più tempo e risorse devono impiegare i comuni nel vagliarla, stando tra l’altro lontani dal territorio, e maggiori costi vivi devono sostenere i privati Un buon esempio da seguire è la normativa svizzera: due sole procedure ed una sola delle quali sottoposta ad “assenso”. In quest’ultima è anche prevista la partecipazione di terzi i quali potranno intervenire per difendere i loro interessi, ma con tempi certi e su questioni limitate.

Nessun commento:

Posta un commento