Quale è la ragione della
crescente distanza in termini di efficacia tra la burocrazia italiana e altre
amministrazioni occidentali? Questa è forse una delle domande più importanti
che la nostra classe dirigente deve affrontare. Personalmente ritengo,
contrariamente a quanto il senso comune ci induce a pensare, che il problema
non sia solo una questione di “riti amministrativi” e cavillosità formali,
oltre che delle lungaggini amministrative che ne derivano. Questi sono solo i sintomi
di un malessere più profondo aggravatosi attraverso i decenni. La crisi ha,
infatti, dimensioni assai più profonde ed è figlia di processo involutivo dalle
molte cause:
-
la grande propensione alla spesa di ingenti
risorse pubbliche, ancorché a debito, che ha facilitato la tendenza allo spreco
ed al clientelismo;
-
le logiche alla base dei processi di selezione
del personale pubblico;
-
la grande spinta economica dei decenni passati
che ha permesso all’operatore pubblico di ritagliarsi un ruolo dagli scarsi
compiti propositivi e dal ridotto profilo tecnico (allora il sistema paese non
necessitava di un attenta “mano pubblica”, essendo dotato di altri vantaggi
competitivi: valore della lira, costo del lavoro, alta spesa pubblica, evasione
tollerata, ecc.);
-
gli assunti ideologici alla base di molte
normative di settore (si veda, ad esempio, il modello decisionale disegnato
dalle Bassanini a valle degli scandali di tangentopoli);
-
il peso delle lobbies dei professionisti (sempre ben rappresente presso gli
organi legislatori);
-
i sistemi di selezione della classe politica;
-
l’eccessiva vicinanza fra livello della
decisione e consenso.
L’attuale stato di
crisi che investe la pubblica amministrazione italiana è sicuramente di ordine
sistemico e volendolo sintetizzare in un unico concetto lo si potrebbe definire
come un disallineamento tra gli obiettivi realmente perseguiti dalla struttura
della P.A. e gli obiettivi di “buon governo” richiesti dal Paese.
Entrando più in
dettaglio potremmo definire la pubblica amministrazione italiana come viziata:
1)
dalla diffusione di processi decisionali
estremamente frammentati in cui predominano l‘incertezza rispetto alla
chiarezza e la “forma” degli atti rispetto al merito degli stessi;
2)
dalla mancanza di circoli virtuosi fra
obiettivi da perseguire (da intendersi come obiettivi di buon governo) e risultati
reali raggiunti;
3)
da una forma
mentis e da competenze (anche tecniche) dei funzionari pubblici non
indirizzate ad obiettivi di sviluppo ma solo di controllo;
4)
tendenza ad un eccesso di controllo, espresso
per via regolamentare, tra governo e enti locali, tra amministratori ed uffici,
tra uffici e privato, ecc; a fronte di un eccesso di potere trasferito dal
“centro” verso la “periferia”.
La situazione non è
quindi liquidabile in modo banale ed è risolvibile solo con interventi che
incidano profondamente sulla natura e forma della pubblica amministrazione
italiana. La crisi di sistema è così strutturale e permanente che ha ridefinito
negli anni, soprattutto nel sentire comune, lo stesso ruolo della P.A.; persino
i funzionari pubblici si percepiscono come “vidimatori” di proposte promosse da
terzi invece che riconoscersi compiti di governo attivo a supporto del decisore
politico. Fattori che assieme determinano un immobilismo dell’operatore
pubblico che da anni mina il sistema economico della nazione e ne compromette
la competitività ed attrattività agli investitori esteri.
Conscio che il
problema è innanzi tutto di natura culturale e solo in decenni potrà essere
superato, ma volendo comunque contribuire alla discussione in atto indicando proporrei
i seguenti ambiti di azione lungo i quali intervenire in via prioritaria:
1)
il riordino dei modelli decisionali, con
particolare riferimento alle scelte “complesse” e di livello strategico;
2)
il fattore umano (da intendersi come
competenza, formazione, motivazione, ecc..);
3)
il riordino e snellimento delle procedure amministrative
a fronte di più chiari obiettivi pubblici;
4)
la riduzione degli ambiti soggetti al
controllo della p.a.;
5)
la sostituzione, nelle procedure minori, delle
operazioni di controllo ex ante a
favore di quelli ex post.
A partire da questi
ambiti di azione, propongo qui di seguito quattro strategie ordinate a
complessità crescente:
1- Riordino degli ambiti e degli strumenti di
controllo della Pubblica Amministrazione.
Prima fase: ampliare
significativamente le procedure soggette a mera “comunicazione” rispetto quelle
sottoposte a specifico atto di assenso preventivo. La differenza, che pare di
forma, è in realtà sostanziale: se il comune (prendiamo per esempio il settore
edilizio) dovrà essere soltanto informato dell’esecuzione di un intervento
libero ex lege, le verifiche non verteranno
sulla legittimità (sede di ampie controversie e lungaggini), ma al più su
questioni operative (sicurezza, sostenibilità ecologica, ecc.), più chiare ed
oggettive. Sarà quindi necessario scegliere con lungimiranza l‘oggetto del
controllo pubblico (da esercitare anche con visite in situ), i limiti dell’intervento “libero” (un esempio: tutto ciò
che non ha rilevanza urbanistica può essere ricondotto ad edilizia libera) e
gli oneri documentali relativi.
Un buon esempio a
riguardo, sempre riferito al contesto edilizio ed urbanistico, è la normativa svizzera:
due sole procedure ed una sola delle quali sottoposta ad “assenso”. In
quest’ultima è anche prevista la partecipazione di terzi i quali potranno
intervenire per difendere i loro interessi, ma con tempi certi e su questioni
limitate.
Seconda fase:
ridurre gli ambiti di controllo regolamentare ed uniformare le normative di
settore lungo tutto il territorio nazionale. Le norme dovranno essere semplici
e stabili nel tempo, con prescrizioni operative e non prescrivendo il rispetto
di banali adempimenti formali (ad esempio deposito di un certo progetto, di relazioni
di compatibilità, di asseverazioni, ecc.), sulla cui reale utilità permango profondi
dubbi, ma dal considerevole onere per il cittadino medio. Controlli sul
territorio, ancorché sporadici, eseguiti da persone qualificate sarebbero di
sicura maggior efficacia e meno costosi per i privati. Già riordinare le
normative vigenti prescrivendo di fornire all’ente preposto al controllo solo
l’elenco di professionisti che assumeranno la responsabilità di ogni aspetto
dell’intervento o della pratica, limitando la produzione al comune degli
elaborati progettuali minimi indispensabili per fissare il titoli acquisiti, sarebbe
un enorme risultato.
2- Procedure amministrative di assenso più
efficienti ed aperte.
Sostituire la fase
istruttoria delle procedure amministrative di assenso preventivo e non riconducibili
alle comunicazioni di cui al punto precedente con un percorso di confronto e
collaborazione diretta e rapida (incontri, riunioni e sopralluoghi devono
sostituire le comunicazioni formali prodotte per sola via cartacea o
telematica), sfruttando al massimo le potenzialità offerte dalle Conferenze di
Servizio. L’efficienza del sistema sarà però condizionata dal grado di
competenza ed autonomia decisionale che avranno gli attori coinvolti e dal
quadro regolamentare di riferimento che dovrà riconosce ai decisori i giusti
margini di azione, limitandosi a dettagliare gli obiettivi da perseguire e non
regole da applicare (questo riflessione è valida soprattutto per il governo del
territorio).
3- Introdurre nella P.A. competenze adeguate.
Grande limite della
P.A. è stato il sistema di selezione del personale che ha negli anni
privilegiato le competenze amministrativo-burocratiche rispetto a quelle
critico-analitiche. Ne sono negli anni seguite alcune inefficienze divenute ora
sistemiche:
- a
funzionari p.a. selezionati per decenni senza competenze tecniche adeguate è
divenuto necessario fornire norme e regolamenti di dettaglio in conformità dei
quali operare. Questa impostazione appesantisce notevolmente i processi
decisionali (una opzione non viene valutata in funzione della sua bontà ma
della ammissibilità normativa) e priva il dipendente dell’urgenza di sviluppare
competenze più elevate oltre che concorre all’ipertrofia normativa che
caratterizza il contesto nazionale;
- si è
diffusa la prassi di acquisire sul mercato competenze non presenti nella P.A..
Questa tipologia di supporto tecnico sconta delle inefficienze rilevanti,
perché limitata nel tempo e a temi specifici oltre che essere condizionata
della committenza (spesso politica), senza condizionare in modo positivo i
processi decisionali che restano in capo alle strutture politiche o
burocratiche; determinando, per contro, un grave esborso pubblico ed inibendo
ulteriormente la formazione di competenze interne alla stessa P.A..
Nei decenni passati le
tutte pubbliche amministrazioni progettavano ed intervenivano sul territorio
anche con interventi complessi, mentre oggi il supporto di consulenti è imprescindibile.
È infatti da anni che la P.A.
riproduce al suo interno competenze non operative ma puramente di controllo
burocratico.
4- Disegnare nuovi modelli decisionali
(superare le Bassanini).
Immaginiamo che un
operatore privato voglia presentare una proposta non perfettamente conforme
agli strumenti urbanistici vigenti ma caratterizzata da una certa utilità
pubblica. Ovviamente le strutture degli uffici tecnici saranno obbligate a
rigettare la proposta perché non prevista dai regolamenti comunali approvati,
prescindendo da ogni valutazione in ordine alla bontà della proposta stessa che
spettano, per legge, agli amministratori eletti. Ma la parte politica, come
sappiamo, non partecipa alle procedure amministrative ordinarie e per intervenire
in modo fattivo dovrebbe essere prima coinvolta in modo informale (previo
appuntamento da parte dell’interessato) e poi “convinta” a modificare le norme
vigenti. Si avvia quindi una lunga fase di approvazione di nuovi regolamenti
per finalmente procedere all’approvazione del progetto da pare degli stessi
uffici tecnici che un anno prima l’hanno rigettato. Una procedura farraginosa,
lunga, viziata da limiti di competenza (l’amministratore non sempre ha una
visione tecnica adeguata), eccesso di potere e clientelismo, che costringe le
nostre comunità ad una continua perdita di competitività ed attrattività. Manca
in sintesi una sede decisionale che sappia valutare con competenza tecnica,
potere, legittimità, efficienza ed efficacia tutte quelle questioni che le
norme non possono valutare ed a cui le stesse norme dovrebbero lasciare
sufficiente autonomia decisionale. Se il decisore eletto democraticamente
potesse concorrere con il supporto dei funzionari e dei tecnici alle decisioni
rilevanti, non avrebbe più bisogno di approvare norme dettagliate ed articolare
per guidare l’operato degli uffici. Questa sarebbe la prima condizione per
ridurre la complessità normativa, almeno a livello comunale.
È solo ridisegnando, quindi,
i perimetri e le caratteristiche gli attuali “riti” amministrativi verso forme
decisionali basate sulla collaborazione fra P.A. e proponente privato che si
potrà superare la frammentazione decisionale introdotta dalle riforme Bassanini,
rendendo la struttura dell’ente preposto al controllo adeguatamente flessibile
e ricettiva in tempo reale delle proposte private presentate, coscienti che l’operatore
privato, soprattutto negli interventi di trasformazione territoriale, non può
più essere solo autorizzato a fare, ma dovrà anche essere supportato nella
definizione dei contenuti progettuali così da garantire la giusta tutela degli obiettivi
collettivi.