Premesso che si condividono le
osservazioni mosse dall’Istituto Nazionale di Urbanistica alla bozza di disegno
di legge promossa dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, si vuole
contribuire alla discussione con questo piccolo testo. Qui di seguito si
illustrano due brevi gruppi di note: il primo contiene proposte di ordine
generale, sistemico, il secondo integrazioni alla prevista norma regionale di
disciplina degli ambiti territoriali unitari.
Note al sistema di governo del
territorio tratteggiato dal D.L. in parola:
1-Un nuovo ruolo per l’ente
locale: la legge dovrà esplicitare che l’ente locale, tramite uffici preposti e
qualificati (il così detto ufficio di piano), spetta il dovere di dare seguito
agli obiettivi di valenza strategica contenuti nei piani regolatori che ha
approvato, operando in modo propositivo e come vera e propria agenzia di
sviluppo urbano. L’attuale crisi economica e l’alto livello di competizione
territoriale impongo ai governi locali atteggiamenti proattivi e capacità
nell’intercettare investimenti privati e valorizzare ogni risorsa. La proposta
illustrata è assimilabile alle esperienze americane ed inglesi dove gli enti
locali sono dotati di commissioni / agenzie (planning commissions) preposte
allo sviluppo del territorio ed alla gestione e promozione di interventi e
progetti di rilevanza urbana. Strutture pubbliche, nominate dal decisore
politico, con competenza tecnica e non sono burocratica, le quali esprimono
proposte e pareri di merito e non di semplice “conformità”.
2-Piani attuativi a perimetri
negoziabili: Assunta la necessità di scorporare la pianificazione su due
livelli: strutturale e operativo, rimandando il primo alla scala sovra locale,
ed il secondo a quella comunale, si propone di innovare il comma 3 dell’art 16
specificando che ai Comuni spetta sì il compito di individuare le aree
assoggettabili allo strumento dei piani di rinnovo urbano, ma che il perimetro
degli strumenti attuativi sarà determinato in funzione di accordi, anche di
natura negoziale, assunti con i soggetti promotori. Questa soluzione permetterà
una più facile attuabilità delle proposte di recupero. La parcellizzazione
della proprietà fondiaria in ambito urbano, specialmente in contesti residenziali,
è infatti un fortissimo limite al recupero dei tessuti degradati, per tale
ragione deve essere considerata sin dalle fasi iniziali della definizione del
piano attuativo.
3-Semplificare realmente:
introdurre regolamenti (definizioni urbanistiche, distanze, norme
igienico-sanitarie e di sostenibilità energetica) standardizzati e omogenei per
grandi comparti omogenei, approvati per ambiti regionali o provinciali, se non
statali: ridurre il numero eccessivo di norme complesse e di fonti di legiferazione
è la via più efficace verso la semplificazione dei processi decisionali nel
governo del territorio.
La previsione di una legge
regionale che disciplini le caratteristiche puntuali dei singoli ambiti è un
punto qualificante della proposta in esame ed ha tre rilevantissimi vantaggi.
Il primo: maggior trasparenza dei documenti tecnici comunali a favore degli
investitori privati, con ovvie ricadute in termini di certezza
dell’investimento e dei tempi di realizzazione (le nostre norme devono essere
aperte e comprensibili anche da investitori stranieri, ne vade la competitività
dell’industria edilizia e non solo). Il secondo: maggior controllo a livello
regionale nella promozione di politiche edilizie specifiche senza la necessità
di individuare ex-lege procedure derogative alle norme urbanistiche definite a
livello comunale. Ed il terzo: se la norma verrà introdotta non ridimensionata
sarà vera semplificazione.
Nel dettaglio si propone inserire
nei contenuti delle leggi regionali indicati nel comma 5 quanto segue:
1-La norma dovrà essere recepita
a livello comunale senza modifiche, se non per i valori plano-volumetrici
(esempio riguardo alle altezze ammissibili, indici di fabbricabilità) oltre che
per eventuali regole d’ornato.
2-Per essere adatta allo scopo di
cui al punto precedente, dovrà essere la più completa possibile, prevedendo, ad
esempio, la disciplina dei cambi d’uso.
3-Sempre col fine di semplificare
le norme della produzione edilizia, si propone di ridurre al minimo i parametri
di controllo plano-volumetrico dell’edificato. Ma quali indicatori usare, però?
Una prima soluzione sarebbe sostituire gli indici di fabbricabilità basati su
un rapporto geometrico tra superficie fondiaria e superficie fabbricabile con
il numero di unità immobiliari realizzabili per lotto minimo. Le altezze
massime ammissibili per ambito, la superficie drenate, le distanze da confini,
strada e pareti finestrate, oltre che la necessità di reperire gli standard o i
parcheggi privati, limiterebbero la superficie realizzabile senza l’imposizione
di un controllo al metro quadro del contenitore edilizio (controllo per altro
inutile ai fini dell’attuazione degli obiettivi di piano). Le norme regionali
indicheranno il massimo numero di unità o le tipologie edilizie ammissibili per
gli ambiti territoriali unitari (es.: villa unifamiliare, trifamiliare o
edificio multi-immobiliare/corte per gli ambiti residenziali). Qualora per alcune destinazioni il numero di
unità immobiliari non fosse un indicatore adeguato, nella disciplina d’ambito
sarà sufficiente indicare il rapporto di permeabilità ed in numero di
piani/altezza massima, associandovi la tipologia edilizia ammessa: superficie a
parcheggio e distanze completeranno il disegno ammissibile lasciano ampie
libertà nella definizione dell’immobile. A riguardo si invita a valutare le
Zoning ordinance vigenti negli Stati uniti d’America. Questa scelta, oltre che
governare con maggior efficacia il carico urbanistico, fornirebbe disponibilità
micro-volumetriche a singoli proprietari a pari carico urbanistico, liberando
ampie risorse per l’industria edilizia: non si ha la misura di quanti
interventi di edilizia “minuta” vengano bloccati per esaurimento della
volumetria.
Auspico, infine, che quanto letto
circa le intenzioni di approvare in un secondo provvedimento il Regolamento
Edilizio Unico stralciato dalla stesura finale dello Sbolcca-Italia avranno
seguito, essendo questo uno strumento importante solo nella misura in cui
riuscirà a raccogliere ed uniformare la disciplina edilizia in un solo codice
valido su tutto il territorio nazionale. Il termine codice non lo si usa a
caso, esso dovrà infatti contenere in modo cogente le principali definizioni,
le procedure per il rilascio dei titoli abilitativi, i requisiti di
sostenibilità energetica e le principali regole igienico sanitarie. I comuni
provvederanno ad integrare il codice con eventuali parti di propria competenza
(ad esempio: regole d’ornato, funzionamento commissioni, ecc.). Il codice
tecnico dell’edilizia dovrà essere emanazione diretta del T.U. dell’Edilizia se
non suo totale sostituto.
A riguardo colgo l’occasione per
inviate a riordinare il vigente testo unico verso forme di controllo edilizio
meno complesse ed onerose anche per il privato. Non è difficile intuire che più
carta si produce, più tempo e risorse devono impiegare i comuni nel vagliarla,
stando tra l’altro lontani dal territorio, e maggiori costi vivi devono
sostenere i privati Un buon esempio da seguire è la normativa svizzera: due
sole procedure ed una sola delle quali sottoposta ad “assenso”. In quest’ultima
è anche prevista la partecipazione di terzi i quali potranno intervenire per
difendere i loro interessi, ma con tempi certi e su questioni limitate.