È con gli anni degli studi
universitari, quando passavo nottate a rimuginare sullo sfavorevole confronto
fra i prodotti della trasformazione e pianificazione urbanistica italiana con i
casi studio esteri, che ho cominciato a pormi le prime domande sulle
motivazioni sia culturali che sistemiche di questo importante ritardo. Ero
infatti colpito dalla qualità dei masterplan
sviluppati all’estero e dalla loro capacità di costruire, attraverso un capace
gioco di vuoti e di grandi densità, un ottimo “effetto città”, ma anche dai
bellissimi progetti di spazi pubblici promossi nelle città spagnole, portoghesi
o tedesche, piuttosto che dalla notevole lungimiranza tecnica ed amministrativa
dimostrata dagli operatori pubblici di quelle città; quanto deluso dai prodotti
nostrani che troppo spesso sfiguravano, mancando di respiro e controllo (non mi
riferisco alla produzione edilizia di punta, ma proprio alla poca qualità nel
disegno urbano diffusamente proposto ed alla resistenza alla ri-generazione urbana
di ampio respiro, troppo spesso dovuta ad una chiara assenza di vision). Ma è solo grazie alla mia
esperienza lavorativa presso la P.A., dove ho potuto disporre di un punto di
vista interno al “regolatore-decisore” oltre che di una importante serie di
esempi che benissimo mi hanno restituito lo stato dell’odierna pratica
urbanistica, che sono riuscito a dare ordine logico alle mie perplessità e, quindi,
a proporne una sintesi critica. Sintesi che si basa sul riconoscimento di
alcuni dei limiti culturali ed ideologici che hanno condizionato, indebolendole,
le moderne pratiche pianificatorie italiane sin dalla loro avvio e che io ho velleitariamente
voluto chiamare “i peccati originari dell’urbanistica italiana”.
Quella che segue è la mia
modestissima interpretazione, ma vi invito a sfogliare i masterplan degli ultimi 15/20 anni sviluppati oltralpe e
confrontarli con quelli promossi nella nostra Nazione. Controllate numeri,
indici, livello degli operatori privati ma anche ruolo propositivo che gli
attori pubblici hanno giocato nello sviluppo ed implementazione di queste
proposte di trasformazione urbana. Penso sia da questo confronto, il confronto
cioè con modelli dai profili di funzionalità più elevati, che debba essere
ordinata la valutazione della nostra situazione ed avviare quindi una profonda
fase di ri-configurazione di ruoli e competenze, norme ed obiettivi.